Fonte www.auto.it
Sembrava una tranquilla berlina da famiglia. Ma riusciva a mettersi dietro le sue gigantesche ruote posteriori le migliori supercar dell’epoca.
Fra i vari passaggi di mano, è capitato che negli anni Novanta la Lotus finisse nell’orbita della General Motors.
Un matrimonio che ha dato alla luce prodotti di cui non sentiamo la mancanza (vedi la Elan con motore Isuzu, componentistica Opel, trazione anteriore...) ma anche oggetti piuttosto curiosi. Uno di questi era senza dubbio la Opel Omega Lotus, berlina ipervitaminizzata che ancora oggi potrebbe dire la sua fra le quattro porte ad alte prestazioni. Nel 1990 la Lotus si occupò di trasformare la pacifica Omega (nella fattispecie la 3000 24V) in un vero mostro per spettacolari burnout e prestazioni velocistiche che vent’anni fa erano paragonabili a quelle di supercar con la S maiuscola. Il tutto con un confort elevato e un prezzo tutto sommato non esorbitante: 115 milioni di lire per avere un oggetto dall’esclusività pazzesca, visto che ne furono prodotte un migliaio (di cui un paio di centinaia con il nome di Vauxhall Carlton Lotus, la versione inglese) e in Italia ne arrivarono, ufficialmente, appena 20, tutte verde scuro Lotus. L’intervento della Casa inglese è stato piuttosto consistente: assetto ribassato e irrigidito, con modifiche strutturali al retrotreno (due puntoni aggiuntivi al multilink) per garantire maggior stabilità. Impianto frenante all’altezza della situazione (dischi autoventilanti davanti e dietro) e pneumatici che hanno richiesto l’adozione di passaruota specifici tanto erano larghi, con dei 265/40 ZR 17 al posteriore. Tutto questo per sopportare i ben 377 cavalli e i 59 kgm di coppia del 6 cilindri in linea, rivoltato come un calzino da Lotus stessa per raggiungere tali performance: cilindrata portata da 3 a 3.6 litri, due turbine Garrett T25 con intercooler aria/acqua, una riequilibratura generale e rinforzi strutturali; ancora, per scaricare a terra la cavalleria senza sgretolare nulla si è fatto ricorso a un cambio meccanico ZF simile a quello montato sulla Corvette ZR1 e su un differenziale autobloccante.
Fare in modo che le gomme posteriori facessero presa sull’asfalto, con tanto ben di Dio sotto al cofano, non era comunque impresa facile. Ma imbroccando la partenza giusta era possibile bruciare lo 0-100 in soli 5”47, i 200 orari in 16”75 e raggiungere una straordinaria punta massima di 275,2 km/h, valori che permettevano alla Omega Lotus di tenersi alle spalle quasi tutte le supercar dell’epoca. La guidabilità (giugno 1991) non era affatto male, perché l’assetto era tendenzialmente sottosterzante (per ragioni di sicurezza) ma se ci si voleva divertire con coreografici sovrasterzi di potenza la Omega Lotus non si faceva certo pregare. L’erogazione del 6 cilindri biturbo era eccezionale: pronta già al regime minimo, più corposa e consistente oltre i 2000 giri, esplosiva oltre i 4000 quando si avvertiva una spinta supplementare. Dandoci dentro col gas emergeva uno dei difetti della berlinona anglo-tedesca: 2,3 km con un litro nella guida al limite che diventavano 5,3 guidando accorti nel traffico. Sgommando a più non posso...
Sembrava una tranquilla berlina da famiglia. Ma riusciva a mettersi dietro le sue gigantesche ruote posteriori le migliori supercar dell’epoca.
Fra i vari passaggi di mano, è capitato che negli anni Novanta la Lotus finisse nell’orbita della General Motors.
Un matrimonio che ha dato alla luce prodotti di cui non sentiamo la mancanza (vedi la Elan con motore Isuzu, componentistica Opel, trazione anteriore...) ma anche oggetti piuttosto curiosi. Uno di questi era senza dubbio la Opel Omega Lotus, berlina ipervitaminizzata che ancora oggi potrebbe dire la sua fra le quattro porte ad alte prestazioni. Nel 1990 la Lotus si occupò di trasformare la pacifica Omega (nella fattispecie la 3000 24V) in un vero mostro per spettacolari burnout e prestazioni velocistiche che vent’anni fa erano paragonabili a quelle di supercar con la S maiuscola. Il tutto con un confort elevato e un prezzo tutto sommato non esorbitante: 115 milioni di lire per avere un oggetto dall’esclusività pazzesca, visto che ne furono prodotte un migliaio (di cui un paio di centinaia con il nome di Vauxhall Carlton Lotus, la versione inglese) e in Italia ne arrivarono, ufficialmente, appena 20, tutte verde scuro Lotus. L’intervento della Casa inglese è stato piuttosto consistente: assetto ribassato e irrigidito, con modifiche strutturali al retrotreno (due puntoni aggiuntivi al multilink) per garantire maggior stabilità. Impianto frenante all’altezza della situazione (dischi autoventilanti davanti e dietro) e pneumatici che hanno richiesto l’adozione di passaruota specifici tanto erano larghi, con dei 265/40 ZR 17 al posteriore. Tutto questo per sopportare i ben 377 cavalli e i 59 kgm di coppia del 6 cilindri in linea, rivoltato come un calzino da Lotus stessa per raggiungere tali performance: cilindrata portata da 3 a 3.6 litri, due turbine Garrett T25 con intercooler aria/acqua, una riequilibratura generale e rinforzi strutturali; ancora, per scaricare a terra la cavalleria senza sgretolare nulla si è fatto ricorso a un cambio meccanico ZF simile a quello montato sulla Corvette ZR1 e su un differenziale autobloccante.
Fare in modo che le gomme posteriori facessero presa sull’asfalto, con tanto ben di Dio sotto al cofano, non era comunque impresa facile. Ma imbroccando la partenza giusta era possibile bruciare lo 0-100 in soli 5”47, i 200 orari in 16”75 e raggiungere una straordinaria punta massima di 275,2 km/h, valori che permettevano alla Omega Lotus di tenersi alle spalle quasi tutte le supercar dell’epoca. La guidabilità (giugno 1991) non era affatto male, perché l’assetto era tendenzialmente sottosterzante (per ragioni di sicurezza) ma se ci si voleva divertire con coreografici sovrasterzi di potenza la Omega Lotus non si faceva certo pregare. L’erogazione del 6 cilindri biturbo era eccezionale: pronta già al regime minimo, più corposa e consistente oltre i 2000 giri, esplosiva oltre i 4000 quando si avvertiva una spinta supplementare. Dandoci dentro col gas emergeva uno dei difetti della berlinona anglo-tedesca: 2,3 km con un litro nella guida al limite che diventavano 5,3 guidando accorti nel traffico. Sgommando a più non posso...